Tra le attività dello “sviluppo organizzativo” l’assessment del potenziale è, forse, quella più delicata. Così come il coltello l’assessment, se ben utilizzato, aggiunge valore, ma se, al contrario, viene maneggiato senza la giusta sapienza e maestria rischia di provocare solo effetti negativi.
Un progetto di assessment deve essere pensato con la dovuta cura: aver ben chiaro il campo di utilizzo, dove e chi coinvolgere, le caratteristiche dello strumento e il tipo di intervento, profondità, estensione e intensità. Altrettanto importante è la gestione dei suoi risultati che deve essere coerente con gli obiettivi di partenza e con le modalità con cui è stato erogato: chi ho assoggettato ad assessment, per quale ruolo e con quale scopo, a quale profondità mi sono spinto e quale livello di attendibilità mi ero proposto e ho successivamente verificato.
Un assessment sbagliato, non importa per quale motivo e in quale sua fase, è in grado di arrecare danni profondi, talvolta non visibili immediatamente, sia per l’organizzazione sia per le persone. Non mi dilungo a descrivere, perché evidenti e già affrontati da me in un precedente articolo intitolato “Il lusso dell’incompetenza”, gli effetti deleteri di una assegnazione (o non assegnazione) errata di responsabilità.
Per questo abbiamo ritenuto opportuno provare a riflettere su quali logiche deve poggiare un “progetto di assessment”.
La partenza
Il primo punto di partenza è l’individuo: ogni assessment deve essere dedicato a una persona per volta rendendo neutra l’osservazione/valutazione rispetto al particolare contesto sociale in cui si svolge. Ciò non significa che ognuno deve essere valutato in una ipotetica camera iperbarica isolata dal contesto (sociale) esterno, ma che lo stesso contesto (sociale) debba essere accettato come uno degli elementi condizionanti e, a sua volta, neutralizzato. Solo in questo modo è possibile determinare se il suo atteggiamento e le sue potenzialità sono costanti al variare delle condizioni sociali esterne oppure sono una variabile dipendente dalle stesse (il che comunque è una risposta importante).
Il secondo presupposto sta nel fatto che ogni persona è in costante evoluzione e che, partendo da un “momento della sua vita” certo e noto, sviluppa nel tempo le sue capacità esplicitando con i comportamenti ciò che sa fare bene, ciò che sta imparando a fare e, soprattutto, l’embrione di ciò che potrebbe fare in futuro.
Ci piace pensare che il principio di Lavoiser , “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, possa valere anche per le potenzialità professionali di una persona. Siamo altresì certi che per chiunque, anche per i neoassunti, c’è sempre un punto di partenza da analizzare, da cui trarre gli elementi per valutare il set di capacità in fieri (più o meno evidente al momento dell’osservazione).
La definizione
Dalla partenza alla definizione del nostro modello di assessment – ProReactive assessment con sottotitolo (o sotto definizione) liquid assessment – il passo è immediato.
Prima però di entrare nel merito della definizione è opportuno soffermarci sulla “sotto definizione”, che trova il suo senso nella idea che in questo momento sociale ed economico “liquido” (vedi il testo “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman) il risultato dell’assessment non può essere una fotografia statica della persona ma, piuttosto, la valutazione dinamica, liquida, della sua stessa capacità di far continue fotografie.
Quale valore può avere infatti l’immagine statica del quadro di potenziale soggettivo, costruita con criteri che, come dice Baumann, diventano obsoleti un secondo dopo la loro definizione?
Non ha più senso invece valutare quanto l’individuo sia lui stesso in grado di fotografare e definire il rapporto, e le necessità di allineamento, tra sé e il contesto che è chiamato a gestire? Oppure determinare altresì quanto e come è in grado di sviluppare e adattare il suo complesso di capacità e comportamenti a un contesto in continuo cambiamento?
Trasportando nell’organizzazione il concetto espresso da Claude Lévi-Strauss nel suo libro “Il crudo e il cotto”, secondo il quale il buon scienziato non è chi ha le risposte ma chi sa far le giuste domande (http://it.wikipedia.org/wiki/Claude_Levi-Strauss ), troviamo centrale determinare non tanto la qualità della risposta statica a una situazione ma la capacità dinamica dell’individuo di trovare le giuste domande cui dare la giusta risposta.
Nella mia esperienza ho potuto constatare quanto il trouble shooting, la ricerca del problema, sia più critica del problem solving, la ricerca della definizione: abbiamo infatti molti manager pieni di soluzioni che cercano il loro problema.
Il ProReactive Assessment si focalizza sulla capacità dell’individuo di interpretare il fluido in cui vive e sulla sua efficacia nell’essere, in quello stesso fluido, un riferimento solido.
ProReactive, la definizione principale, sintetizza la necessità di guardare in modo proattivo, anticipatorio, i comportamenti di domani, e le capacità e i valori che li origineranno, desumendoli da quelli oggi visibili. Un’analisi “proattiva” basata sullo studio di una “reazione” già esplicitamente agita.
Il ProReactive Assessment è il google glass dello sviluppo, l’occhiale nuovo necessario per guardare a oggi con gli occhi del futuro. Con questi occhiali determino se e quanto una persona subisce o ha subito gli eventi, e quanto nel tempo ha invece imparato a gestirli, modificarli e indirizzarli, unitamente alla velocità con cui è passato dall’essere comparsa a protagonista.
Le Metacompetenze
Son dunque le metacompetenze il centro del nostro modello: la capacità dell’individuo di costruirsi nuove competenze piuttosto che le competenze che ha già. Noi oggi non possiamo sapere quali competenze saranno critiche domani, sappiamo solo che un buon manager dovrà sapersele costruire, quali che siano. L’impresa chiede alla persona di costruire valore e la persona deve saper rispondere a questa attesa progettando il proprio funzionamento.
Tutto questo è semplice da rilevare, è sufficiente analizzare il già visibile per capire se questa metacompetenza è già parte della persona, a quale livello lo è e a quale velocità si sta sviluppando.
Prendiamo ad esempio la competenza “aggregazione o team building”: i suoi contenuti di ieri non sono uguali a quelli di oggi e di domani; aggregare oggi non equivale ad aggregare domani. Il focus quindi non è sulla competenza, su come una persona sa aggregare e unire la sua squadra oggi, ma sulla metacompetenza, ovvero su come e quanto sa capire quali sono gli elementi di aggregazione (oggi diversi da ieri e da domani) e su come, a prescindere da quali siano, li sa governare. Di come, in sintesi, sa costruire momento per momento il proprio essere team builder.
La differenza è sostanziale: in questo modo si definisce davvero il potenziale di una persona e non si trasla, banalmente e semplicemente, nel futuro il potenziale di oggi, magari visto in una simulazione.
Il modello e le sue componenti
Centro del ProReactive Assessment è l’efficacia del sistema persona (soggettivo e individuale), composto da energia, emozioni e conoscenza, nell’agire le proprie capacità. La struttura del ProReactive Assessment poggia su due principi che si ispirano alle idee di Goldberg Elkhonon (vedi “Il paradosso della saggezza”) e di Amartya Sen (vedi “L’idea di giustizia” e la sua teoria sull’etica delle capacità).
Elkhonon sostiene che un cervello maturo è in grado di integrare “pensiero” ed “esperienza”. Il cervello che cresce sa utilizzare sempre e al meglio il complesso di energia, emozioni e conoscenza combinando la sua capacità empatica di leggere persone e fatti con la velocità di intuizione e decisione. Una mente adeguatamente stimolata amplifica la propria performance in senso sia qualitativo sia quantitativo; quante risposte do e quanto valore portano le risposte che do.
Principio uno: valutare come il soggetto cura nel tempo la stimolazione del proprio cervello.
Sen afferma che ogni persona possiede un set di capacità che cresce, si sviluppa nel tempo e si traduce in funzionamenti. Funzionamenti che per agire devono trovare le loro libertà.
In una organizzazione d’impresa è importante che ognuno sappia e possa interagire con il contesto sociale (e organizzativo) a lui esterno, per trovare le libertà positive (la possibilità di agire) e rimuovere le libertà negative (ostacoli all’azione).
Principio due: valutare come il soggetto sa passare dalle idee ai fatti e sa progettare la propria azione interagendo al meglio con il sistema a lui esterno.
Su questi principi abbiamo articolato il modello che va a valutare queste metacompetenze.
- Capacità di integrare pensiero ed esperienza. Quanto la conoscenza supporta l’agire e quanto l’esperienza sviluppa a sua volta la conoscenza? Quanto ogni vissuto diventa lesson learned e si trasforma in conoscenza per sé e per gli altri? Quanto la conoscenza modifica (migliorandola) l’azione?
- Gestione della doppia E – Energia Emozione, ovvero Managing the Double E. Qual è il livello di consapevolezza dell’importanza delle proprie emozioni e della propria energia? Quanto si è consapevoli del fatto che emozioni ed energia esistono e caratterizzano l’interazione con persone e processi? Quali strumenti vengono agiti per gestire la propria energia ed emotività?
- Empatia. Quanto e come la persona sa entrare in contatto profondo con individui e fatti e ne sa cogliere la vera essenza? Quanto si è in grado di andar oltre la superficie e quanto velocemente ed efficacemente lo si fa? Che tipo di qualità ha il contatto empatico?
- Auto motivazione e auto apprendimento. Quanto è in grado di auto sviluppare la propria conoscenza, senza attendere stimoli esterni che, in realtà, si è chiamati più a dare che a ricevere? Quanto il soggetto sa tenere il proprio cervello allenato e permeabile agli stimoli e quanto sa selezionarli? Esiste la contaminazione e l’osmosi: prendo da altri ambiti, prendo da altre persone?
- Sistematizzazione progettuale. Quali capacità realizzative ha l’individuo? Come sa passare da un’idea a un risultato nelle tre tipiche situazioni: direttamente da solo, direttamente con una squadra e indirettamente come coach di altri che deve solo supportare e governare a distanza?
- Fluidificazione. Quanto una persona sa agire cercando alleati nell’ambiente e progettando azioni e processi fluidi? Quanto è efficace nel rimuovere gli ostacoli autonomamente, senza aspettare che spariscano da soli o che vengano rimossi da altri?
Queste le metacompetenze chiave del nostro assessment. Per ognuna ci sono livelli diversi di approfondimento, a seconda del ruolo e del profilo della persona da valutare. Logicamente, a seconda del livello di approfondimento (che si porta dietro ruolo e profilo) desiderato, può cambiare o strumento di valutazione.
Per questa flessibilità il ProReactive Assessment è utile e produce valore (in termini di risultati e indirizzi strategici) a ampio spettro per tutte le discipline tradizionali delle Risorse Umane. Per esempio nella selezione, dove sono evidenti i potenziali risultati, o nella Formazione e Sviluppo, dove l’assessment diventa utile per centrare i contenuti e i metodi evitando sprechi di tempo intelligenza e soldi. Anche la gestione se ne può avvantaggiare grazie ad una maggior comprensione di dove le persone possono dare il meglio, in progetti così come in processi, e massimizzare la loro curva di apprendimento.
Ritengo quindi in conclusione di sottolineare, quasi a monito o istruzioni per l’uso, il tema del livello di approfondimento; esso è un elemento caratterizzante dell’assessement al punto che è pericoloso oltre che inutile paragonare assessment diversi se erogati con livelli di approfondimento diversi.
I vari casi di applicazione confermano e consolidano questo.
Chiudo rimandando ogni ulteriore approfondimento ad un confronto dal vivo utile e necessario per verificare quale livello di “costruzione su misura” sia richiesto caso per caso.