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L’incompetenza: un lusso che non possiamo più permetterci

27 Feb

Ogni sistema sociale (azienda, gruppo, organizzazione etc) crea e mantiene al proprio interno un nemico che, estremamente pericoloso, è in grado di mimetizzarsi e ostacolare in modo vischioso la capacità di produrre benessere (o più in generale di valore).

E’ l’incompetenza, il cui significato parte dalla mancanza del “sapere” fino ad includere la distonia tra le persone ed il sistema, i suoi valori etici, le sue regole morali e comportamentali.

Un nemico potentissimo. Ne basta una piccola quantità e il più forte dei sistemi soccombe, annaspa alla ricerca di un equilibrio che possa compensare questa negatività bruciando energie che, invece, servirebbero a produrre benessere.

E se questo vale sempre ed in generale proviamo a immaginare quanto sia rilevante in un’organizzazione d’impresa in un momento nel quale i margini di manovra, qualsiasi manovra, sono strettissimi e non consentono neanche il più piccolo degli errori.

L’allargamento dei confini dei mercati di riferimento, la comparsa di concorrenti scalpitanti e aggressivi, incattiviti dalla loro lunga permanenza nelle retrovie (paesi emergenti) e dal continuo diminuire delle risorse disponibili, si traduce in una competizione più dura (minore la posta in palio, maggiori aspiranti) che impone la messa in gioco di tutte le risorse a disposizione.

Diventa quindi importante per un’impresa (ma discorsi analoghi dovrebbero essere fatti per qualsiasi sistema sociale, scuola, enti amministrativi, comunità non profit etc) comprendere quali sono le risorse sulle quali può contare e quali le condizioni per sfruttarle al meglio.

Funzionale a questo è quindi la riflessione di T. Davenport il quale ci suggerisce di uscire dall’obsoleto, e se si vuole limitante concetto di persone uguali a risorse (umane) per allargare la nostra idea alle persone quali proprietarie di risorse: quasi un gioco di parole in realtà un salto logico culturale

Le imprese (o un qualsiasi sistema sociale) devono uscire dalla illusione di poter disporre delle risorse solo perchè presenti al suo interno, e quindi pensando di poter concentrare i suoi sforzi solo nell’iniziale processo di acquisizione o tuttalpiù allargandoli successivamente (e spesso superficialmente) a qualche attività di sviluppo.

Diventa necessaria la presa d’atto che per avere le risorse ci si deve confrontare con una serie di processi decisionali, uno per ogni soggetto coinvolto, legati alla loro messa in gioco.

L’impresa di successo è quindi quella che riesce ad avere prima e ad impiegare poi nel migliore dei modi tutto il capitale umano a sua disposizione, eliminando i vincoli togliendo gli ostacoli, ogni ostacolo.

Il disegno organizzativo dovrà incentrarsi su alcuni punti chiave: la comprensione delle competenze che servono davvero, la chiara espressione degli obiettivi e i modi per far esprimere tutte le energie senza la minima dispersione. Il focus viene assunto da una nuova entità non scindibile, composta da capacità, orientamenti etici, e comportamenti.

E’ impossibile separare ciò che si è in grado di fare dalla voglia di farlo e dalla possibilità di farlo: l’insieme di questi tre fattori porterà valore (o disvalore) all’impresa e non, come forse era più comodo pensare, il contributo parziale e disaggregato di ognuno di essi. Utilizzare tutte le risorse significa, come ci insegna il premio Nobel A. Sen, quindi costruire la propria azione di indirizzo e di gestione (manageriale) partendo dalla comprensione delle capacità (insieme di cosa so fare e cosa voglio fare) e delle libertà necessarie per trasformarle in funzionamenti.

Perchè quindi l’incompetenza diventa un lusso oggi mentre non lo era prima? La seconda parte della domanda, alla quale ho già implicitamente risposto è oltremodo banale: la combinazione di meno risorse in palio con la crescita degli attori in gioco.

Ma è sulla prima parte che mi voglio soffermare, sull’azione vischiosa che l’incompetenza (intesa in senso allargato di inadeguatezza culturale e valoriale) produce e che rallenta, a tratti inibisce, la produzione di valore.

Di nuovo iniziamo con un’ovvietà, tanto banale quanto disattesa dalla maggior parte delle organizzazioni: a risorse finite il gioco è a somma a zero, una negatività toglie spazio ad una positività. Altrettanto comprensibili sono gli effetti negativi derivanti da decisioni sbagliate, un tempo rimediabili con un aggravio di costi, assorbibile con le maggiori risorse a disposizione, oggi non più.

Meno banale e visibile possono essere i danni indiretti  dell’incompetenza sulla produzione del valore e precisamente sui fattori “voglia di fare” e possibilità/libertà di fare.

L’incompetenza di alcuni spesso non è innocua o silente ma agisce, a volte sopra (buonafede) più spesso sotto (malafede) la soglia di visibilità, con una costanza ed una precisione che spesso la competenza non possiede. L’incompetenza, infatti, crea disorientamento, inquina la comprensione degli obiettivi, i modelli valoriali e comportamentali, offusca la trasparenza del processo di costruzione del valore. Chi è incompetente è consapevole di esserlo e sopperisce a questa sua lacuna con una forza ed un’intensità tali da sovvertire il sistema di valutazione, ciò che è negativo è più visibile e nasconde il positivo. Le persone quindi vengo fuorviate e deviate dalla produzione di valore e orientano il proprio potere decisionale per la messa in gioco delle loro risorse verso obiettivi diversi e non coerenti con quelli attesi e definiti. La voglia di fare viene meno, cala il livello di tensione verso il risultato atteso viene sottratta l’energia per costruire e, a volte nei casi più gravi, viene messa in campo energia negativa per distruggere: valore neutro o disvalore. Anche il cosa so fare viene impattato perchè il disorientamento tocca anche il processo di sviluppo della propria competenza, vero e unico cuore pulsante della crescita.

Ma il vero impatto negativo della non competenza o (inadeguatezza), consiste in tutte le azioni che le imprese devono mettere in atto per neutralizzarla. E’ paradossale, infatti, come le imprese, ma lo stesso potrebbe dirsi per tutti gli altri sistemi sociali, di fronte all’incompetenza invece di scegliere la via più breve consistente nell’eliminarla (o ancora più semplicemente di non acquisirla) decidono di costruire un sovrasistema a complessità infinita e crescente per neutralizzarla.

Succede, quindi, che si creino sistemi di prassi e regole, che si trasformano in valori che si traducono in comportamenti che nel migliore dei casi comportano solo un sovra-costo, ma nel peggiore (e purtroppo nel più frequente) diventano un insieme di libertà negative preciso ed efficace nell’inibire le energie positive. Un esempio? Pensiamo ai livelli organizzativi, ai controlli dei controlli alle infinite “forche caudine” decisionali che le aziende (e gli altri sistemi di governo) introducono al loro interno per impedire che le incompetenze impattino negativamente. Paradossale osservare che a quel punto il danno è già fatto: l’incompetenza agisce anche senza agire.

Balza quindi evidente agli occhi quanto può essere il costo dell’incompetenza ancor prima che essa produca decisioni sbagliate o devianze al processo di produzione del valore.

Facciamoci una domanda, prendiamo il primo sistema sociale di impresa di governo o di qualsiasi tipo che ci viene in mente e analizziamo quante posizioni organizzative e quante regole (o prassi) esistono non per creare ma per neutralizzare, calcoliamone il primo costo quello diretto e già abbiamo una indicazione del primo margine lordo dell’incompetenza (o inadeguatezza).

L’incompetenza è quindi un male subdolo non necessario, vischioso ed ambiguo, che dobbiamo solo eliminare: neutralizzarlo non serve anzi peggiora.

Per eliminarla però bisogna devono esserci coraggio e onestà intellettuale: è necessario che chi sta a capo dell’organizzazione sia in grado di chiarire ciò che, relativamente a quella organizzazione ed i suoi obiettivi, è competenza  e ciò che non lo è, di pensare non al rischio che si assume facendolo ma al fatto che non può non farlo.

E’ indispensabile parlare chiaro alle persone e con coerenza separarsi da chi non è coerente con i valori e gli obiettivi attesi dell’impresa ma con altrettanta coerenza premiare chi invece aderisce al suo progetto.

Si deve assumere la serenità di giudizio e la capacità di comunicarlo e di applicarlo in modo coerente, senza esitazioni e compromessi.

Il costo dell’incompetenza è quindi direttamente proporzionale al costo dell’irresponsabilità. Non ce lo possiamo più permettere, le energie vanno canalizzate per produrre valore senza alcuna dispersione. Semplice no?